Comuni | GAL Terra d'Arneo https://www.terradarneo.it Gruppo d’Azione Locale Terra d’Arneo Fri, 22 Nov 2019 15:33:49 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8 https://www.terradarneo.it/wp-content/uploads/2019/11/cropped-favicon-gal-1-150x150.png Comuni | GAL Terra d'Arneo https://www.terradarneo.it 32 32 Veglie https://www.terradarneo.it/comune/veglie/ Fri, 22 Nov 2019 15:33:49 +0000 http://www.terradarneo.it/?post_type=comune&p=9379 Veglie risultava ricco «in olio, frumenti, vini, cotone, pascoli e latticini, frutta ed altro»; una produzione senza dubbio variegata, che rivelava un ricco patrimonio di “saperi agricoli”, tramandato di generazione in generazione fino ai nostri giorni. Agricoltura e zootecnia si praticavano nelle numerose masserie a carattere misto, localizzate soprattutto nell’antico feudo di Vocettina e nell’area compresa tra i comuni di Salice e Leverano. Uomini, donne e animali segnavano il percorso giornaliero dalla città alla campagna (e viceversa) e animavano spazio rurale e insediamenti produttivi. I luoghi della trasformazione del prodotto, però, erano ubicati anche nel centro urbano ed oggi costituiscono una risorsa significativa per lo studio dell’archeologia industriale. Sono i frantoi ipogei, antichi impianti di produzione dell’olio scavati nella roccia; antri ombrosi, testimoni silenziosi di fatiche e di sacrifici, di vita simbiotica tra uomini ed animali. Come il frantoio di largo San Vito, restaurato nel 1998 con i fondi del Programma Comunitario LEADER II e restituito alla collettività. L’atmosfera cupa del passato sembra stemperata dalla consapevolezza che l’ipogeo sia diventato una risorsa da rendere fruibile per comprendere appieno l’importanza che l’olio e l’olivo hanno avuto nell’economia di Terra d’Otranto. In queste superfici cavate, che trasudano ancora fatica, è stato prodotto “l’oro giallo” che ha illuminato le città dell’Europa del Nord. Il rapporto fra fede e attività agropastorale assume qui una connotazione molto singolare. L’intreccio tra calendario agricolo e religioso risulta evidente nel culto del patrono, San Giovanni Battista; considerato in tutta Europa una sorta di “divinità agricola”, legata all’inaugurazione della mietitura e alla purificazione con l’acqua per auspicare abbondanti raccolti, a Veglie il santo veniva invocato e portato in processione in periodi di siccità, di carestia e di calamità naturali. La devozione al santo è una tradizione cultuale secolare, riconducibile verosimilmente al basso medioevo. La chiesa matrice, di cui è titolare insieme a Sant’Irene, fu fondata tra il XV e il XVI secolo, rimaneggiata nei secoli successivi e trasformata radicalmente dopo il terremoto del 1743. La solennità annuale del santo si sdoppia in due eventi: il primo si svolge il 24 giugno, data della Natività (San Giovanni Piccinnu) e, l’altro, il 29 agosto, data del Martirio (San Giovanni Ranni). Un altro culto molto partecipato è quello della Madonna della Favana, raffigurata con il Bambino nella cripta omonima, che rientra nel perimetro dell’area cimiteriale insieme al convento dei Francescani. Secondo gli studiosi, l’intero ciclo di affreschi è databile al XV secolo e la coesistenza di elementi agiografici, linguistici ed architettonici greci e latini sono la testimonianza della radicata presenza della cultura greca nel Salento. Questa peculiarità rinvia alla presenza di comunità miste, sulle quali i Francescani hanno giocato un ruolo importante, evidenziato anche dalle immagini dei santi dell’Ordine. L’appellativo Favana si riferisce alla miracolosa Madre, che liberava «uomini ed animali quadrupedi», dal “male della fava” e richiamava devoti da tutto il circondario. Il favismo è una malattia di natura allergica del sangue, causata da sostanze contenute nella fava, legume fondamentale per quest’area, paludosa fino a non molti decenni fa. Grazie alla fava, che agiva sul ciclo responsabile della malaria, una buona parte dei contadini di Veglie (e non solo) sviluppò una resistenza alla malattia.]]> Salice Salentino https://www.terradarneo.it/comune/salice-salentino/ Fri, 22 Nov 2019 15:12:49 +0000 http://www.terradarneo.it/?post_type=comune&p=9375 Salice Salentino, che dà il nome al rinomato vino D.O.C., rappresenta il limite nord-occidentale della provincia di Lecce e segna il confine con quelle di Brindisi e di Taranto. Secondo Giuseppe Leopoldo Quarta, questo elemento topografico, associato alla qualità del suolo, favorì lo sviluppo di questo piccolo casale medievale. Infatti, la sua particolare “giacitura” consentiva attività e scambi commerciali, offriva strutture per il riposo dei viandanti e il ricambio delle “cavalcature” quando la viabilità era ancora piuttosto precaria; la qualità del suolo, poi, lo rendeva un luogo molto ambito per l’abbondante caccia tanto di selva quanto di palude. Insieme con Guagnano, Salice era l’ultimo centro della vasta foresta oritana, che si sviluppava in lunghezza per 35 miglia, «con un circuito di circa 100 miglia e forse più». Il suo terreno, «allora molle ed acquitrinoso», era caratterizzato da una diffusa presenza di alberi di salici, impressi nel toponimo locale e nell’emblema civico. L’attuale vocazione agricola del territorio, con produzione notevole di vino ed olio, era già evidente nelle fonti d’archivio del Settecento e dell’Ottocento; in questo periodo, infatti, aumentarono in modo significativo le aree vitate ed olivate, con i nuovi impianti di olive novelle o di vigna impalata (a spalliera). La viticoltura ha ormai raggiunto livelli di eccellenza, riconosciuti in tutto il mondo; una sosta presso il Museo del Vino Leone de Castris oppure nella tenuta Castello Monaci, localizzata al confine con San Pancrazio, è un vero piacere dei sensi! La dimensione religiosa è rappresentata soprattutto da edifici di culto mariano; ne sono un esempio le chiesette della Madonna del Latte, dell’Immacolata e di Santa Maria ma gli edifici più rappresentativi restano la chiesa matrice, dedicata all’Assunta, e la chiesa del convento dei Frati Minori, intitolata a Santa Maria della Visitazione. La fisionomia attuale della chiesa dell’Assunta è frutto degli interventi di ricostruzione ed ampliamento settecenteschi, seguiti al crollo del 1689. Notevole lo slanciato prospetto principale, ritmato da lesene e da nicchie, con il raffinato portale, sovrastato dal gruppo scultoreo della Vergine con putti e decori di fiori e frutta. Poderosi pilastri scandiscono lo spazio interno in tre navate, arricchito da pregevoli tele, fra cui quella del Cristo Morto del pittore leccese Serafino Elmo. L’avvio della costruzione del complesso dei Frati Minori fu deciso nel 1587 dal marchese Giovanni Antonio I Albricci, forse per un voto fatto a San Francesco d’Assisi durante una malattia. La fondazione conventuale, sorta accanto all’antica cappella di Santa Maria del Soccorso, fu possibile anche grazie ad un altro benefattore, che donò un giardino di proprietà, e al concorso di diverse famiglie salicesi. La casa fu completata nel secolo successivo e la nuova chiesa, più ampia, fu intitolata a Santa Maria della Visitazione; l’immagine originaria della cappella fu sostituita da un dipinto che l’Albricci donò alla nuova chiesa «per ultimo ornamento» dell’altare maggiore, raffigurante la Vergine in visita presso Elisabetta. Il volto bellissimo e dolcissimo di Maria fu dipinto, secondo la leggenda popolare, dagli angeli mentre il pittore, durante la notte, attendeva la giusta ispirazione! La devozione popolare mariana fu incentivata anche dai nuovi signori di Salice, gli Enriquez, tanto che, nella seconda metà del XVII secolo Gabriele Agostino istituì per il 2 luglio la grande fiera annuale della “Madonna della Visitazione”, che richiamava mercanti e commercianti da tutto il circondario. Questo evento si svolge nel primo fine settimana di luglio.]]> Porto Cesareo https://www.terradarneo.it/comune/porto-cesareo/ Fri, 22 Nov 2019 14:44:49 +0000 http://www.terradarneo.it/?post_type=comune&p=9368 Porto Cesareo è una delle località balneari più frequentate della Puglia. Citata da Plinio con la denominazione di Sasinae Portus, era stata indicata dal Marciano come «il più fertile porto del Regno, ove del continuo s’imbarcano merci in abbondanza e si pescano infinita specie di saporitissimi pesci e di frutti marini in quantità tale che se ne fa copia per tutta la Provincia». Marcato dalle cinquecentesche torri costiere, il territorio si sviluppa lungo il litorale, caratterizzato da valenze naturalistiche ed ambientali di pregio: dal 1997 è sede di un’Area Marina Protetta molto vasta, tra le più ampie in Italia, che si estende fino a 7 miglia dal litoralecompreso tra Torre Inserraglio a sud e Punta Prosciutto a nord. Coste sabbiose, basse scogliere, isole, isolotti e penisole delimitano ampie lagune. Nel 2006 è stata istituita anche la riserva naturale orientata regionale “Palude del Conte e Duna Costiera” che tutela il litorale extraurbano; è caratterizzata da un esteso sistema dunale con specie insolite, come il ginepro fenicio, e da una depressione retrodunale in cui si articola il sistema di canali e bacini della bonifica del secolo scorso. Vegetazione igrofila ed alofila, con specie rare della “Lista Rossa”, cedono il passo al bosco di Serra degli Angeli e agli ampi tratti di macchia e gariga, residui delle “folte macchie d’Arneo”. Oltre alle praterie di Posidonia, i fondali marini accolgono testimonianze preziose; nello specchio d’acqua tra l’insediamento preistorico di Scala di Furno e la torre denominata Chianca giacciono i resti di antichi naufragi,  come le colonne di marmo cipollino di epoca romana. Alcune insenature sono un ecosistema fondamentale per l’alimentazione di uccelli limicoli ed aironi e per la riproduzione di un gran numero di pesci ed organismi marini. Una peculiarità è rappresentata anche dalle cosiddette “spunnulate” (nel dialetto locale significa “sprofondate”), formazioni carsiche costiere, localizzate soprattutto nel tratto di litorale compreso tra Torre Lapillo e Torre Castiglione, dove la falda carsica è in comunicazione con il mare. Si tratta di cavità doliniformi, dovute all’azione congiunta di acque sotterranee e marine sul calcare fratturato e carsificato. Alla flora e alla fauna marine è dedicato il Museo di Biologia Marina, attualmente gestito dall’Università del Salento, fondato negli anni Sessanta del Novecento dal naturalista Pietro Parenzan. Comprende la Collezione Malacologica, con centinaia di conchiglie esposte senza alcun trattamento conservativo, e l’Algario, con più di 200 specie diverse di alghe dei mari Ionio e Adriatico. Una sezione del Museo è destinata alla Biblioteca, ricca di volumi sugli habitat acquatici e terrestri e dotata di un Archivio fotografico e di un’aula multimediale. La pesca è ancora oggi una delle l’attività economiche più importanti; la marineria ospita centinaia di natanti di dimensioni medio-piccole per tonnellaggio e motorizzazione. In questi ultimi anni si è sviluppato anche il settore della “pescaturismo”, in cui il turista può comprendere appieno la secolare cultura cesarina, tramandata di generazione in generazione. A bordo del peschereccio, si può rivivere una tradizione fatta di gesti rituali, di attese, di strumenti del mestiere e di…. “salpate” produttive! Si pensi alla pesca con il palancaro, utile a catturare il pesce spada, o con il tramaglio, per i pesci più legati al fondale, come lo scorfano, o alla pesca sotto costa, per recuperare orate, dentici e saraghi.]]> Nardò https://www.terradarneo.it/comune/nardo/ Fri, 22 Nov 2019 12:36:26 +0000 http://www.terradarneo.it/?post_type=comune&p=9359 Nardò è il centro più popoloso; il suo paesaggio costiero è sede di insediamenti preistorici che ricadono nel Parco Naturale Regionale di Porto Selvaggio e Palude del Capitano, una delle principali“isole verdi” del Salento, con 300 ettari di pineta e 7 chilometri di litorale alto e roccioso. Un’area dalle importanti valenze paesaggistiche e culturali, con le torri costiere e le grotte preistoriche del Cavallo, di Uluzzo, di Torre dell’Alto, di Serra Cicora, di Capelvenere rappresentano solo alcuni degli esempi più significativi a livello internazionale, oggetto di studio dagli anni Sessanta del Novecento. L’importanza dei ritrovamenti nella grotta di Uluzzo, catalogati nel Paleolitico Medio e Superiore, ha determinato la definizione di un periodo “uluzziano”, considerato una delle prime manifestazioni di arti figurative in Europa. La continuità insediativa è attestata in epoca messapica e in epoca romana, quando, intorno al III secolo a.C., Nardò e il suo porto di Emporium Nauna (l’attuale S. Maria al Bagno) furono conquistati dai Romani. Il centro storico rivela una ricchezza ed una raffinatezza sorprendenti: palazzi gentilizi, chiese e cappelle, complessi conventuali, guglie, piccole corti raccontano di un fervore costruttivo strettamente legato alla presenza della sede vescovile e delle diverse famiglie del patriziato locale. Il grave terremoto del 1743 rappresentò un duro colpo per la comunità: molti immobili urbani furono distrutti completamente o in parte e, quindi, ricostruiti ex novo o restaurati. L’abilità di mastri muratori e di scalpellini locali è riuscita a restituire l’antica armonia delle architetture, la leggerezza dei decori e l’eleganza della secolare cultura lapidea. Si pensi al “salotto dei neretini”, piazza Salandra, una delle più scenografiche del Salento, dominata dall’obelisco con la statua dell’Immacolata (XVIII secolo), e delimitata dal cinquecentesco Sedile, con la statua del protettore, S. Gregorio Armeno, dall’antico Palazzo della Pretura (XVIII secolo), dalla chiesa di San Trifone, dalla Fontana del Toro. Nelle vicinanze, da un lato, la chiesa di S. Domenico, con l’elegante prospetto, e, dall’altro, piazza Pio XI, sulla quale si affacciano l’episcopio, il vecchio seminario e la Cattedrale, designata monumento nazionale nel 1879 e Basilica Pontificia Minore nel 1980. Dedicato a Maria SS. Assunta, l’edificio religioso fu fondato nell’alto Medioevo e divenne sede di un’abbazia italo-greca con un’importante schola scriptoria; fu ricostruito in epoca normanna ed ingrandito nel XIV secolo. La fisionomia attuale è opera del vescovo Antonio Sanfelice che nel 1724 volle rifare la facciata e parte dell’interno. Le testimonianze residue degli affreschi coprono un’arco di tempo di circa due secoli, più o meno dalla fine del XIII alla fine del XV secolo. Degne di nota sono anche le opere di Francesco Solimena e il Crocifisso ligneo, probabile opera del XIII secolo, attribuita ad un maestro catalano operante nell’ambiente artistico campano. L’aspetto religioso è arricchito da una serie molto ricca di fondazioni, fra cui la chiesa di S. Teresa e il convento delle Carmelitane Scalze, la chiesa dell’Immacolata con il convento dei padri Minori, quella della Beata Vergine del Carmelo con il convento dei Carmelitani, la chiesa di S. Giuseppe e quella della Purità, la chiesa di S. Chiara con il convento delle Clarisse, la chiesa di S. Antonio da Padova… Notevole per l’imponenza architettonica e per l’apparato decorativo è l’attuale Palazzo di Città, eretto tra il XV e gli inizi del XVI secolo dai feudatari locali, gli Acquaviva d’Aragona, a scopo difensivo e rimaneggiato alla fine del XIX secolo dai baroni Personè. Il prospetto principale è caratterizzato da un particolare balcone, sorretto da cariatidi. L’area “cerniera” tra la città e il mare è rappresentata da località Le Cenate, caratterizzata da ville e casini di villeggiatura, databili dall’inizio del XVIII all’inizio del XX secolo. La nobiltà laica ed ecclesiastica palesava il suo ruolo sociale ed economico attraverso l’architettura e i giardini e trasformava radicalmente la facies del paesaggio rurale. La vocazione vinicola del territorio, però, restava intatta; Cenate deriverebbe da “acenata”, un tipo particolare di uva senza acini. Da non perdere è il Museo della Memoria e dell’Accoglienza presso Santa Maria al Bagno, che raccoglie testimonianze dei tanti ebrei deportati, ospitati tra il 1943 e il 1947. Il tratto costiero neretino si allunga verso Santa Caterina, Portoselvaggio e Torre Inserraglio tra coste rocciose e frastagliate che, lentamente, cedono il passo al litorale sabbioso di Sant’Isidoro.]]> Leverano https://www.terradarneo.it/comune/leverano/ Fri, 22 Nov 2019 12:29:01 +0000 http://www.terradarneo.it/?post_type=comune&p=9358 Leverano è la “città dei fiori”; la floricoltura rappresenta un settore economico sempre più importante, valorizzato da un “Mercato Comunale” ad hoc. A maggio, “Leverano in Fiore” anima il centro storico con particolari decori e composizioni floreali, dove l’arte barocca delle architetture e l’arte floreale si intrecciano con la fantasia dei produttori in uno scenario di grande suggestione. Il centro è dominato da un’imponente torre che, secondo la tradizione, sarebbe stata realizzata da Federico II: è ilmonumento più insigne, «la gigantesca emergenza edilizia della sua storia, il simbolo stesso della sua entità», scriveva il Paone. Lo slanciato corpo quadrangolare di circa 30 metri, coronato da una semplice merlatura, rappresentava un efficace strumento di controllo del territorio, così prossimo al mare. L’interno si sviluppava su quattro piani ed era suddiviso da tre solai lignei, collegati da una scaletta elicoidale. L’ultimo piano era dotato di una copertura con volta a crociera e costoloni bicromi, con conci chiari e scuri alternati. Fu il figlio più illustre di Leverano, il medico, filosofo ed umanista Girolamo Marciano (1571-1628), ad indicare l’origine federiciana della torre. Nell’opera postuma “Descrizioni, origini, successi della Provincia di Terra d’Otranto” (XVII secolo) scrisse che fu realizzata verso il 1220 ed era «la più alta che oggi si vegga nella Provincia». La cinquecentesca casa in cui nacque e visse la sua infanzia il cantore delle glorie patrie è rimasta intatta; da qui il Marciano sembra ancora dialogare con la “possente emergenza” per rinverdire i fasti di antiche memorie. L’altro edificio rappresentativo per la comunità è la Chiesa Matrice, intitolata alla SS. Annunziata, costruita su una fondazione preesistente a partire dall’ultimo scorcio del XVI secolo; danneggiata dal terremoto del 1743 fu ristrutturata e riaperta al culto nel 1747. Il prospetto principale è caratterizzato dalla sobrietà e dall’equilibrio formale; l’intelaiatura con colonne binate e sovrapposte appare molto originale nella tripartizione del primo ordine (con i relativi portali) e assume una connotazione ancora più raffinata nel secondo, in cui la cuspide terminale è arricchita da una loggia e da una coppia di nicchie. Fuori dal centro urbano, sulla strada per Nardò è ubicato il complesso conventuale di S. Maria delle Grazie dei Frati Minori che risalirebbe alla fine del XV secolo o agli inizi del XVI. La fonte documentaria più antica sulla chiesa, in origine dedicata a S. Rocco, patrono di Leverano, è una bolla del 1557 con la quale l’arcivescovo di Brindisi concede un beneficio. L’originaria fisionomia della struttura è stata modificata nel corso dei secoli: gli elementi tardoromanici del prospetto monocuspidale sono stati quasi completamente obliterati da quelli barocchi. A navata unica con copertura a capriate, l’interno è caratterizzato da un maestoso arco trionfale che divide l’aula dal presbiterio. Il convento fu edificato sul finire del XVI secolo: presenta un chiostro rettangolare in cui sono distribuite 24 ogive che poggiano su colonne poligonali.]]> Guagnano https://www.terradarneo.it/comune/guagnano/ Fri, 22 Nov 2019 12:18:32 +0000 http://www.terradarneo.it/?post_type=comune&p=9356 Guagnano (con la frazione di Villa Baldassarri, già feudo di San Giovanni Monicantonio), si identificò per secoli con il proprio bosco, che costituiva un brano integrale dell’immensa foresta di Oria. Ai suoi margini furono erette una serie di masserie che sfruttavano le macchie limitrofe per scopi produttivi. Dimensione rurale, tradizione, religiosità e devozione si intrecciarono con la quotidianità, dando vita ad eventi leggendari legati alla costruzione degli edifici di culto locali. Come accadde per la cappella extra moenia della Madonna dell’Acqua, invocata in occasione di una siccità, o per la chiesa matrice, edificata sul luogo in cui un toro(o un bue, in un’altra versione) rinvenne un affresco di Maria con una corona tra le mani. Si tentò invano di asportare la sacra icona della Madonna del Rosario per collocarla nella chiesa parrocchiale ma era del tutto evidente che la Vergine non volesse abbandonare quel sito. L’attuale chiesa, dedicata all’Assunta, fu edificata nel XVIII secolo sulla fondazione precedente e conserva nel transetto destro l’immagine miracolosa. L’elegante facciata barocca si confaceva ai caratteri di nettezza e di sobrietà del piccolo centro urbano, già identificati da Cosimo De Giorgi alla fine dell’Ottocento: «questo paesino ha delle vie regolari e diritte, la più larga delle quali mette sulla piazza comunale, dove è pure la chiesa parrocchiale moderna. E’ piuttosto pulito, ed ha delle case basse e imbiancate all’esterno […]». Strade strette e graziose, vicoli e case a corte restituiscono le atmosfere genuine d’altri tempi e il senso di sacralità del vicinato. La stessa cura per l’abitato si rifletteva anche nelle aree rurali circostanti, dove regnava un’estesa «coltivazione di ulivi e di fruttetti». L’operosità e l’esperienza agricola della comunità locale hanno determinato un’importante attività di coltivazione della vite, con la produzione di uve da tavola o da destinare alla vinificazione. I produttori locali esportano vini di eccellenza e li valorizzano attraverso eventi come il “Premio Terre del Negroamaro” e le attività del “Museo Centro Studi del Negroamaro”, una vera e propria celebrazione dei piaceri di Bacco. Nel Museo, ospitato presso un ex palmento, si ricostruiscono i processi di produzione del vino; dalla raccolta all’imbottigliamento, gli antichi strumenti di lavoro e il materiale audiovisivo propongono le diverse fasi di lavorazione delle uve, in cui convivono elementi tradizionali e tecniche innovative. Fra ieri e oggi, la valorizzazione del prodotto non può prescindere dalla conoscenza del paesaggio; degustazioni ed escursioni guidate nel territorio, tra oliveti secolari e vitigni autoctoni, tra masserie e casine di campagna, sono fondamentali per comprendere appieno il milieu del Negroamaro e l’esperienza secolare dei lavoratori della terra. Una tradizione ancora molto viva è quella delle Tavole di San Giuseppesolidarietà, enogastronomia e fede rivitalizzano tutta la comunità. Le famiglie di devoti preparano piatti succulenti da offrire ai più bisognosi e allestiscono la cosiddetta matthra, una tavola arricchita da fiori freschi e apparecchiata con le tovaglie più preziose. Un carro con la Sacra Famiglia percorre le vie del centro e raccoglie doni da destinare ai meno abbienti.]]> Gallipoli https://www.terradarneo.it/comune/gallipoli/ Thu, 21 Nov 2019 18:20:25 +0000 http://www.terradarneo.it/?post_type=comune&p=9354 Galatone https://www.terradarneo.it/comune/galatone/ Thu, 21 Nov 2019 17:56:49 +0000 http://www.terradarneo.it/?post_type=comune&p=9352 Galàtone (dal greco “γάλα” cioè “latte”[3]; Γαλάτουνα, traslitterato Galàtuna in greco otrantino) è un comune italiano di 15.528 abitanti[1] della provincia di Lecce in Puglia. Il comune è stato fregiato del titolo di città nel 2005[4], e il suo territorio si affaccia sul Mar Jonio con le località La Reggia e Montagna Spaccata, di particolare interesse naturale e paesaggistico. Per le sue bellezze architettoniche, tra cui risaltano particolarmente quelle medioevali e del barocco leccese, la città è stata inserita nell’associazione Borghi Autentici d’Italia. Le origini della città risalgono probabilmente al periodo greco-bizantino quando, per la sua posizione strategica, assunse il ruolo di Kàstron (“castello” in greco bizantino) e nel periodo normanno-svevo si sviluppò in modo organico con l’amministrazione di un feudo che comprendeva i casali di Corillo, Feudonegro, Morice, Renda, San Cosma, Tabelle, Tabelluccio e Fulcignano. Patria del più illustre umanista dell’Italia meridionale, Antonio De Ferrariis (conosciuto con il nome di Galateo), Galatone si offre oggi ai turisti con un itinerario imperniato sulle chiese tardo-rinascimentali e barocche (soprattutto del Santuario del S.S. Crocifisso) sulle sue case “a corte” e con i suoi palazzi ottocenteschi. A Galatone è stata viva la lingua greca fin oltre la fine del XV secolo[5], come anche la religione greca ortodossa, rispettivamente il Rito bizantino. In passato è stato uno dei centri agricoli più importanti della provincia di Lecce: il territorio è ricco di uliveti, vigneti, mandorleti e alberi di fico. Fino al primo dopoguerra, Galàtone era uno snodo di scambi commerciali tra agricoltori e grossisti che acquistavano e rivendevano i prodotti locali nel nord della Puglia. Commercianti e contadini si davano appuntamento al limite della città, a un crocevia che segnava il confine tra la città e la campagna e qui si svolgevano le trattative. Tra i prodotti più apprezzati c’era l’albicocca di Galatone, una rara e preziosa cultivar galatea che proprio a ragione della sua unicità è stata inserita tra i Presidi Slow Food. Il territorio comunale, che si estende nella parte centro-occidentale della penisola salentina per 46,54 km², è situato a 57 m s.l.m. e si affaccia lungo il litorale ionico con le località di Montagna Spaccata e La Reggia. Distante 24 km da Lecce e 13 km da Gallipoli, il centro urbano è situato lungo la Strada statale 101 Salentina di Gallipoli che collega il capoluogo di provincia con la cittadina ionica. comune comprende i feudi di antichi casali medievali, ora abbandonati, di TabelleTabelluccioFulcignanoSan CosmaFumonegro Morice e Renda ed è attraversato a nord dal torrente Asso, un antico corso fluviale che convogliava le acque provenienti da Cutrofiano e Neviano, a sud, per condurle, a nord, in territorio di Nardò. Confina a nord con i comuni di Nardò e Galatina, a est con i comuni di Seclì e Neviano, a sud con il comuni di Gallipoli e Sannicola e a ovest con il mar Ionio.]]> Copertino https://www.terradarneo.it/comune/copertino/ Thu, 21 Nov 2019 17:34:59 +0000 http://www.terradarneo.it/?post_type=comune&p=9351 Copertino è la città di Giuseppe Maria Desa, più conosciuto come S. Giuseppe da Copertino, il “Santo dei voli” per le sue continue estasi seguite da vere e proprie “levitazioni”. Fu consacrato al sacerdozio nel 1628 dopo un lungo periodo di studio intenso e faticoso, per cui oggi è venerato come protettore degli studenti. Canonizzato nel 1767, divenne principale patrono civico quasi un secolo dopo, nel 1858; dovette affrontare anche il Santo Uffizio per l’accusa di “abuso della credulità popolare”, da cui fu poi assolto. Ripercorrendo la sua vita, è possibile anche indicare gli edifici più rappresentativi dell’antica area urbana: nella stalla in cui era nato nel 1603, per esempio, ora sorge il Santuario settecentesco a Lui intitolato, molto vicino alla casa paterna; fu battezzato nella chiesa matrice di S. Maria ad Nives, fondazione medievale ampiamente rimaneggiata tra Cinquecento e Settecento. L’altro edificio legato al suo nome è il Convento dei Frati Minori di S. Maria della Grottella, in contrada Cigliano, ad est del centro abitato. La tradizione racconta di un misterioso ritrovamentoin una grotta di un’effigie della Vergine con Bambino, incastonata attualmente nell’altare maggiore della chiesa, che determinò la costruzione dell’edificio. Nel convento, San Giuseppe dimorò e studiò prima di essere consacrato al sacerdozio; la cella del Santo e quella del Sangue rappresentano concretamente il suo percorso: la prima, più piccola, è più vicina all’altare maggiore e all’immagine di Maria, per la quale nutriva un amore smisurato. L’altra, era il luogo della sofferenza e della penitenza, per le quali il Santo utilizzava anche strumenti di flagellazione. I festeggiamenti in Suo onore si celebrano dal 16 al 19 settembre e prevedono anche il “Meeting dei Giovani”, in cui gli studenti si affidano al Santo per il nuovo anno scolastico. Diverse furono le fondazioni conventuali sorte tra le aree urbane e rurali; fra queste è da annoverare il complesso monumentale di Santa Maria di Casole (inizi del XVI secolo), già insediamento medievale di monaci italo-greci. Localizzato sulla provinciale Copertino-Nardò, nell’antico villaggio rurale di Casole, secondo la tradizione, questo luogo fu legato alla presenza di San Pietro che, di passaggio nelle regioni meridionali, avrebbe fatto dipingere l’immagine di Maria. Del convento resta ben poco ma la chiesa, in cui si intrecciano tardoromanico e gotico, sembra resistere fiera e solenne al trascorrere del tempo. Fra le strutture di diversa tipologia, notevole è il cinquecentesco Castello, realizzato su una fondazione angioina dall’architetto militare Evangelista Menga. E’ uno degli esempi più significativi ed importanti del Salento. L’aspetto militare si stempera nel portale di accesso del prospetto principale, impreziosito da una ricca ed elegante decorazione, molto simile ad un arco di trionfo. La pianta quadrangolare è sottolineata agli angoli da quattro baluardi a lancia e dal fossato perimetrale. All’interno, il castello ospita due cappelle: quella di San Marco, in cui operò il pittore locale Gianserio Strafella, e quella della Maddalena, venuta alla luce durante i restauri degli ultimi decenni del secolo scorso, con affreschi collocabili agli inizi del Quattrocento. Quest’ultima cappella rappresenta un tassello significativo nel panorama della pittura di quel periodo in Terra d’Otranto; rapportato ad altri esiti contemporanei, secondo Ortese, indica la formazione di un linguaggio artistico salentino, in grado di rielaborare in piena autonomia le sollecitazioni esterne.]]> Carmiano https://www.terradarneo.it/comune/carmiano/ Thu, 21 Nov 2019 16:58:15 +0000 http://www.terradarneo.it/?post_type=comune&p=9350 Carmiano e la frazione di Magliano sono comprese nella cosiddetta Valle de “La Cupa”, depressione carsica nell’hinterland di Lecce, caratterizzata fin dal Settecento dalla presenza diffusa di imponenti ville, graziosi “casini” e “casine” per la villeggiatura. In quest’area le nobili famiglie leccesi riscoprirono il piacere di vivere in campagna, poco lontano dalla città capoluogo, nelle architetture raffinate e nei giardini rigogliosi. Se la storia degli altri centri di Terra d’Arneo fu caratterizzata dalla feudalità laica, Carmiano godette della signoria di un importante ordine religioso, quello dei Celestini di Santa Croce di Lecce. A questa presenza, infatti, si deve la nascita reale dei due casali che, nel corso del tempo, divennero entità sociali ed amministrative autonome. Possesso dei Celestini dal 1448 fino alla soppressione napoleonica, tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo registrò un impulso significativo grazie alle concessioni di terre in enfiteusi perpetua ai lavoratori che decidevano di stabilirsi in quei casali: Carmiano e Magliano si ripopolarono, si sfruttarono le risorse produttive, si bonificarono e si resero produttive ampie zone macchiose e paludose, si avviò il graduale disboscamento di una parte del territorio, compreso nella vasta area della “foresta di Lecce”. Nel corso del Cinquecento, questa fase di espansione, coinvolse anche il settore edilizio, con importanti ripercussioni sul tessuto urbano, sintetizzate nel palazzo baronale e nella chiesa matrice di Carmiano, simboli indiscussi del potere locale. L’originaria chiesa matrice, che aveva incorporato l’unico luogo di culto, la chiesetta quattrocentesca di San Giovanni, fu sottoposta a diversi rimaneggiamenti nei secoli successivi fino alla totale demolizione negli anni Sessanta del secolo scorso. Dell’epoca “aurea” di Carmiano resta il palazzo dei Celestini; l’ordine segnò anche l’ambiente culturale del piccolo centro rurale senza interferire nelle vicende religiose delle istituzioni ecclesiatiche locali. L’edificio era dotato di una cappella in cui si celebravano i Santi dell’ordine, ritratti su una grande tela di scuola napoletana, collocabile tra il XVI e il XVII secolo. Il raffinato e monumentale portale di accesso, di gusto catalano-durazzesco, è affiancato da due nicchie che ospitano altrettante statue lapidee delle virtù, attribuite al famoso architetto leccese Giuseppe Zimbalo, che contribuì non poco a vivacizzare la scena artistica del casale. Straordinario artefice della Lecce barocca, lo Zimbalo dimorò per un po’ di tempo a Carmiano per motivi familiari. A lui sono stati attribuiti anche l’altare maggiore e il portale della chiesa dell’Immacolata, databili intorno alla metà degli anni Cinquanta del XVII secolo, veri capolavori d’arte e di manualità artigiana. Lontano dall’esuberanza decorativa e dalla ridondanza formale, il linguaggio artistico di Zimbalo qui assume un tono più semplice e sommesso, modulato su una realtà molto diversa da quella leccese. Senza rinunciare alla forte personalità della sua arte.]]>